5 febbraio 201

La posizione degli artisti nella società medievale

La più antica affermazione del carattere << liberale >> della pittura e della scultura si trova , intorno al 1400, nel libro sui << cittadini famosi di Firenze >> di Filippo Villani che comprende un capitoletto sui pittori. Intorno allo stesso tempo, se non qualche anno prima, Cennino Cennini aveva ardito porre la pittura subito dopo la scienza nella gerarchia delle << arti >>.

 

E’ chiaro dunque che nell’epoca considerata, e in modo più deciso a partire dal Trecento e a Firenze, le arti figurative vanno progressivamente acquistando in dignità e sono ormai vicine ad essere accolte tra le professioni liberali. La posizione sociale dell’artista risente, anche se in modo mediato e più lentamente, per ovvia resistenza delle strutture sociali, di questo progresso. 

 

Durante il primo Medioevo, e fino agli inizi del Gotico, gli artisti erano organizzati in corporazioni o maestranze girovaghe, che si spostavano di luogo in luogo inseguendo le occasioni di lavoro. Dal XIII secolo in poi, in rapporto con la maggiore stabilità dell’occupazione in patria e con il consolidarsi dello stato comunale sul fondamento politico ed economico delle associazioni professionali, le Arti, pittori, scultori ed architetti si organizzano in corporazioni autonome o più spesso aggregate a corporazioni maggiori, con le quali la loro attività avesse qualche legame economico specialmente per quanto riguarda l’uso di alcuni materiali. Nel Trecento, per esempio, a Perugia i pittori erano organizzati in una corporazione minore a sé stante; a Bologna invece essi erano associati ai cartai poiché forse specializzati nella miniatura; a  Firenze architetti e scultura erano membri di un’Arte minore , quella dei muratori e carpentieri, mentre i pittori, che fino al 1295 avevano fatto parte per se stessi, furono più tardi aggregati, come << sottoposti dell’arte >>, alla corporazione dei Medici e Speziali, perché a questa appartenevano anche i mercanti di sostanze chimiche e di colori; gli orafi erano d’altronde associati all’Arte della seta, una  delle corporazioni maggiori.

Gli artisti erano in ogni caso considerati alla stregua degli artigiani. Ciò non significa tuttavia che gli artisti non occupassero posizioni di rilievo. Il pittore o lo scultore affermato era capo di una bottega d’arte, nella quale lavorava con i suoi apprendisti ( che a loro volta potevano divenire maestri e mettere su bottega per proprio conto o associarsi con altri maestri) e i suoi garzoni giornalieri, che attendevano alle mansioni più umili, come la macinazione dei colori, l’esecuzione delle cornici, la preparazione delle tavole.

 

Artisti di fama potevano mettere insieme un buon capitale. Nessun limite giuridico si poneva alla loro attività e ai loro guadagni, ed essi erano liberi anche di recarsi fuori dal loro Comune: Giotto, che ricevette importanti commissioni dai ricchissimi banchieri Scrovegni a Padova, dal Vaticano, dal re di Napoli e dal duca di Milano, visse onoratissimo e agiato, rompendo economicamente e socialmente, ogni legame con la classe di provenienza.

 

Ma anche un architetto e scultore come Arnolfo di Cambio, nominato architetto ufficiale del Comune, ricevette onori e compensi senza confronto più alti di quelli che potessero spettare al più abile degli artigiani. I vincoli di classe agivano, si può dire, a rovescio, nel senso di limitare le << vocazioni artistiche >> alle classi artigiane, piccole-borghesi e magari contadine. Ma per contro i limiti di classe potevano abbastanza facilmente essere spezzati dall’artista di ingegno, e insomma, se la posizione sociale dell’artista era in linea generale confinata nelle classi artigiane, in rapporto con la diffusa concezione dell’arte come attività manuale, che era eredità del primo Medioevo, il grande artista si sollevava tuttavia facilmente al di sopra dei colleghi, perché si cominciava ormai a riconoscere il genio anche nel campo dell’arte.